Si è appreso dai giornali e dalle televisioni nazionali del sequestro di beni pari a 30 milioni di euro appartenenti all’Associazione che fa capo ai Francescani dell’Immacolata. Questa notizia ha lasciato interdetti tanti perché ha messo in dubbio sia la povertà sia la trasparenza e l’onestà che i Frati e le Suore hanno sempre testimoniato. Quale è la verità al riguardo?

Da qualche tempo notizie e scoop sensazionalistici hanno preso di mira l’Istituto dei Francescani dell’Immacolata ed il co-Fondatore, padre Stefano Manelli, scaraventandoli ad arte e senza pietà nel tritacarne del mondo mediatico (dapprima il web, poi la stampa, ora la televisione). Vivisezionato e violato in ogni suo aspetto, anche più intimo, privato e spirituale, l’Istituto è dovuto passare attraverso le forche caudine del clamore e del linciaggio mediatico.
Tra gli aspetti “incriminati” è la questione dei “beni” appartenenti alle associazioni di diritto civile vicine all’Istituto, presentata nella forma: “beni pari a 30 milioni di euro appartenenti all’Associazione che fa capo ai Francescani dell’Immacolata”. A ragione, come vedremo, si può affermare che è stata consegnata al pubblico una leggenda metropolitana, come dimostrano ben due sentenze, una di dissequestro dei beni e l’altra di rigetto di sequestro dei beni da parte rispettivamente dei tribunali penale e civile, di cui purtroppo nessuno parla perché toglierebbe persuasione emotiva e ridurrebbe il potere inebriante dello scoop.
Proviamo ad esaminare i fatti alla luce della ragione e con la conoscenza dei principi della religione cattolica e della vita religiosa, anziché con sistemi approssimativi e sensazionalistici.
Per fare ciò ripercorriamo dalle origini la storia dell’Istituto.
Conosco Padre Stefano Manelli e Padre Gabriele Pellettieri, da più di quarant’anni, da quando, come Francescani Minori Conventuali dal Convento di Sant’Antonio di Portici (NA), vennero inviati a Frigento, piccolo paese irpino, in provincia di Avellino, amato luogo della mia infanzia e della mia adolescenza.
Nel 1970, essendo ispirati a vivere la radicale povertà evangelica, secondo la Regola Bollata del Santo di Assisi, a padre Stefano e a padre Gabriele venne concesso di attuare questa opportunità proprio a Frigento, dove presero dimora presso il convento annesso al Santuario della Beata Vergine del Buon Consiglio, in località piano della Croce, ai piedi del paese.
Qual è il modo di intendere e praticare la povertà evangelica che i Francescani dell’Immacolata hanno scelto e abbracciato? In due parole esso si attua letteralmente nel “non possedere”.
Al fine di far chiarezza sui termini della questione può servire considerare come le regole di alcuni Ordini religiosi contemplino la povertà personale e non quella comunitaria. A titolo di esempio, la regola Benedettina o quella Domenicana, prevedono la povertà individuale ma non quella comunitaria: questo significa che nessun frate, appartenente a tali ordini, può possedere personalmente alcunché; d’altro canto la comunità ha la facoltà di possedere beni e proprietà, anche considerevoli, senza affatto trasgredire la Regola.
I Francescani dell’Immacolata, aderendo pienamente alla regola Bollata di San Francesco, vivono la povertà sia sotto l’aspetto personale che comunitario. Della cd. terza regola, scritta da San Francesco nel romitaggio di Fonte Colombo, ed approvata il 29 novembre 1223 da Papa Onorio III con la bolla “Solet annuere Sedes Apostolica”, leggiamo il capo 4:
“CAPO IV
CHE I FRATI NON RICEVANO DENARI
[87] 1 Comando fermamente a tutti i frati che in nessun modo ricevano denari o pecunia, direttamente o per interposta persona. 2 Tuttavia, i ministri e i custodi, ed essi soltanto, per mezzo di amici spirituali, si prendano sollecita cura per le necessità dei malati e per vestire gli altri frati, secondo i luoghi e i tempi e i paesi freddi, così come sembrerà convenire alla necessità, 3 salvo sempre il principio, come è stato detto, che non ricevano denari o pecunia.”
Il Capo quarto esplicita molto bene la reale portata della povertà francescana della regola serafica, definendo inequivocabilmente la sostanza di quella stessa povertà che i Francescani dell’Immacolata hanno inteso rivivere in pienezza.
Nel concreto questo significa che nessun bene materiale, nessuna proprietà mobile o immobile, nessuna somma di danaro, nessun mezzo di apostolato, niente può essere posseduto non solo da ciascun frate, ma neanche dall’Istituto religioso stesso. In altri termini niente appartiene né può appartenere né si vuole che appartenga all’Istituto dei Francescani dell’Immacolata: non gli appartengono i libri necessari allo studio e alla formazione, il giaciglio su cui dormono, le attrezzature della tipografia, della radio o i mezzi televisivi di apostolato, né i conventi dove vivono, né le auto con cui si spostano: nulla gli appartiene. L’Istituto può solo e soltanto usare i beni, quali mezzi per la gloria di Dio, fino a quando le Associazioni che ne detengono il possesso glielo concedano.
Fin dalle origini, dunque, Padre Stefano e Padre Gabriele hanno dato prioritaria attenzione alla custodia della povertà, ribadendo di non voler possedere nulla in conformità alla Regola Serafica.
La stessa Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, interrogata dai Fondatori sul comportamento da seguire in merito alla questione di donazioni e lasciti, da parte di benefattori, aveva suggerito, con il buon senso e la coerenza propria del buon padre di famiglia, di creare associazioni di diritto civile o comunque forme associative costituite da laici, assimilabili agli “amici spirituali” del punto 4 della Regola di san Francesco (“…. per mezzo di amici spirituali…”). Non è il primo né l’unico caso in cui la Congregazione ha indicato e concesso di adottare tale indirizzo: infatti, in altri casi Istituti religiosi, hanno potuto far ricorso a configurazioni associative di questo genere.
Qual è allora la discriminante, nella fattispecie, rispetto agli altri casi? Verosimilmente la quantità di beni. Rammento che l’Istituto, fiorente di vocazioni, con un numero di frati e suore, pari a circa 800, espandendosi in tutto il mondo ha mosso intorno a sé schiere considerevoli di anime e di benefattori.
E poi un’altra, forse più importante motivazione, che ha rammentato lo stesso Papa Francesco nel discorso tenuto all’udienza del 10 giugno 2014, a Roma, con una parte dei Francescani dell’Immacolata:
quella parola del vostro nome: “Immacolata”… che inevitabilmente espone agli attacchi diabolici.
Su queste basi e con questi scopi hanno, dunque, avuto origine le Associazioni di diritto civile senza scopo di lucro, che, assumendo il possesso dei beni donati, hanno permesso ai Francescani dell’Immacolata di usufruirne e di farne uso per l’apostolato, la stampa, la radio, la televisione, l’aggiornamento e le catechesi dei laici, lo studio dei sacerdoti, le missioni. Queste Associazioni esistono da decenni e non, come erroneamente si cerca di far credere, dal Commissariamento in poi e sono costituite, per lo più, dagli stessi laici benefattori. Per assurdo, e a maggior chiarimento, si pensi che lo stesso uso dei beni da parte dei Francescani dell’Immacolata sarebbe possibile solo se, e fino a quando, le stesse Associazioni lo consentano. Un rischio accettato per amore della povertà. Unica garanzia è la comprovata dirittura morale e la condivisione di principi, di carisma e di missionarietà tra le Associazioni e i FFI fedeli al Fondatore.
In questo modo i FFI, rispettando appieno la povertà, hanno potuto fare e costruire ciò che è sotto gli occhi di tutti, in tutto il mondo e che due anni di Commissariamento hanno inaridito, distrutto e spaccato, insanabilmente.
Conventi, seminari, orfanotrofi, scuole, conventi, chiese, scuola di Teologia, formazione e cura delle anime, apostolato con tutti i mezzi ed in tutte le forme, la buona stampa, radio, televisione, produzione di film, video, cd musicali… sono la tangibile prova dell’uso che è stato fatto dei beni, e cioè sempre e solo al servizio dell’Immacolata e della Sua conquista del mondo intero al Regno di Cristo.
Quanto esaminato, percorrendo le tappe e la storia dell’Istituto, dimostra quale si la verità in proposito alla “questione dei beni”, e cioè che, da veri figli di San Francesco, senza indugio essi hanno messo in pratica fedelmente il messaggio evangelico e cioè che i discepoli di Cristo non devono possedere né oro né argento, né denaro né portare bisaccia, né pane né bastone per via, né avere calzari, né due tonache, ma soltanto proclamare il Regno di Dio.
I frutti? Tanti, fecondi, ricchi.
La scelta di vita dei Francescani dell’Immacolata, il loro rinunciare a se stessi per essere tutti di Cristo e dell’Immacolata sono gesti forti e convincenti che hanno portato tante persone a vivere in Cristo e nell’Immacolata e a ricevere in dono la possibilità di far parte del Regno dei Cieli, il più prezioso dei tesori.
In quel tempo, Gesù disse alla folla: « Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra».
Oggi Gesù ce lo ha ridetto tramite i Francescani dell’Immacolata. Ed è incredibile, per certi versi, come spogliarsi di tutto porti a possedere tutto ciò che davvero conta……….
Maddalena Capobianco