Commento al nuovo video inchiesta del “Corriere.it”

Il messaggio mediatico quasi sempre volto a delegittimare l’opera ed a ledere l’onore e la credibilità di padre Stefano Manelli continua a confondere. Vale la pena fare alcune riflessioni sulle affermazioni diffuse e sulla tendenziosità delle parole usate, ridotte a mero strumento di accusa, al di là di ogni etica e verità.

maria

La presentazione del nuovo video inchiesta pubblicata su Corriere.it è organizzata in modo da presentare padre Stefano Manelli come colpevole delle pratiche di penitenza corporale. Con questo video si cerca di confermare l’impalcatura accusatoria.
Un primo punto degno di commento, sembra essere la dichiarazione dell’ex suora. Essa si vorrebbe impegnare a vivere come la Serva del Signore e scrive un voto con il suo sangue. Questa pratica, afferma l’ex suora, era limitata ad un piccolo gruppo di tanto tempo fa. La cartolina sul cui retro ha scritto, è datata 1996. Testualmente dice: “La pratica veniva fatta dalle prime suore, ecco perché attualmente, le suore d’oggi dicono: Non è vero è una menzogna, noi non sappiamo niente.”
Supposto che siano vere le affermazioni finora riportate sulle pratiche di penitenza, ci chiediamo: “Come mai nei precedenti servizi della giornalista è stato tenuto in ombra che si trattava di un procedimento avvenuto vent’anni fa? Sicuramente raccontare un fatto avvenuto tanto tempo prima non avrebbe avuto lo stesso impatto mediatico sul pubblico; non avrebbe avuto tanta presa al fine di demonizzare la figura del Fondatore dei Frati e Suore Francescani dell’Immacolata.
Non è strano che tali accuse siano venute fuori dopo vent’anni, in un momento di difficoltà per il ramo femminile, durante il commissariamento e non prima? Potrebbe darsi che l’oscurare l’aspetto temporale del particolare accennato non fosse del tutto un caso? Che ci sia stata una volontaria malizia nel preparare il video accusatorio?
Se, però, il problema sono le pratiche di penitenza, chiediamoci cosa ne pensa la Chiesa. Benché le penitenze spirituali siano di gran lunga superiori a quelle corporali, la Chiesa non proibisce queste ultime. Il loro “catalogo” sarebbe vasto. Basta recarsi in un santuario e visitare il museo che conserva gli oggetti ad usum del santo, per imbattersi, non di rado, in strumenti con cui praticava la disciplina. Questi metodi i santi non li hanno mai disdegnati, anzi ne praticavano anche di molto duri.
A questo punto si potrebbe ribattere che sono procedimenti legati al passato, che oggi non si usano più, come per esempio la flagellazione. Fermo restando il rispetto dovuto per chi è avverso a queste forme di penitenza, esse non appartengono al passato, tutt’altro. Tobiana Sobódka, Madre superiora delle suore polacche “Ancelle del Sacro Cuore di Gesù”, prestava servizio nell’appartamento pontificio, durante il pontificato di Karol Wojtyla. Ella afferma che, molto spesso, con le sue consorelle, sentiva i colpi di flagello di San Giovanni Paolo II. “Lo faceva, – continua la Madre –  quando era ancora in grado di muoversi da solo”.
L’uso del cilicio, per esempio, ci risulta essere una pratica adusa a molti, anche laici consacrati. Ora, pur supponendo che un qualunque voto personale o le formule della professione religiosa siano veramente state scritte con il sangue, o che ci si sia marchiato a fuoco il petto con l’acronimo IHS, il vero problema sarebbe un altro: assicurare che chi compia abitualmente o sporadicamente tali azioni sia libero e non costretto da alcuno. Pertanto, assodato che non si può mettere sullo stesso piano la formula della professione religiosa e un voto personale scritto con il sangue, se un gruppetto di suore attua queste pratiche, bisognerà capire se siano state costrette da Padre Stefano, come si vuol far credere, o sia stata una loro libera scelta o, piuttosto, siano state spinte da qualcuna di loro che si fece promotrice dell’iniziativa. In ogni caso non si è mai trattato di un patto di sangue con il Fondatore, ma di un gesto straordinario di fedeltà al carisma dei Fondatori e alla Chiesa. L’ostentazione del documento, a firma del prefetto e del segretario della Congregazione degli Istituti di vita Religiosa, con cui si scioglie qualunque patto di fedeltà ai Fondatori, nasce da un clamoroso equivoco, da un inganno fatto credere al Santo Padre che ha dato disposizioni in tal senso.
A ben giudicare, l’ex suora intervistata dal Corriere, intervistata anche dall’inviata della “Vita in diretta”, riporta un episodio di una consorella che chiese al Fondatore se anche lei poteva scrivere con il sangue la formula della propria professione religiosa; ebbene ella riporta queste testuali parole che avrebbe riferito Padre Stefano: “Se le altre sono d’accordo, anche voi potete fare questa cosa.” Questa risposta, se è da ritenersi vera, per la stessa ammissione della ex suora, esclude ogni forma di costrizione ed è liberatoria per il Padre, contro il quale si sta montando un caso per delegittimarlo moralmente.
La dinamica con cui si sta diffondendo l’accusa ci consente di vedere come sia stato ben congegnato, quello che l’avvocato Tuccillo ritiene un vero e proprio complotto. Prima si è insistito sulla presunta coercizione della volontà delle suore, ovvero hanno provato a far credere che le suore restavano nei conventi contro la loro volontà; poi, caduta questa accusa infondata, si stanno mettendo in piazza le pratiche di penitenza corporale, che se sono state da loro adottate, sono state poste in essere nella più assoluta libertà di decisione. Seppur la Chiesa le consente ed approva, fanno comunque storcere il naso ai benpensanti dei salotti  anticlericali.
Anche quest’ultimo aspetto è rilevante. Ribadiamo! Se questo si è realmente verificato, qualcuno dovrà assumersi, davanti a Dio, la responsabilità per aver diffuso gli atti penitenziali dell’ascetica cristiana, in ambienti in cui difficilmente sono compresi. Sorprende non poco che, coloro che si dichiarano strenui difensori del Papa, diffondano notizie parziali che contribuiscono ad allontanare i fedeli dalla Chiesa.
Noi crediamo che il fenomeno sia circoscritto ad uno sparuto gruppetto di suore, che la Chiesa ci dirà, se riterrà opportuno, essere sante o qualcosa altro. Crediamo sia doveroso ascoltare anche le testimonianze delle altre suore di quel tempo e che invece di uscire dall’Istituto, vivono felicemente la loro vocazione religiosa.
Ma v’è una somiglianza con la pratica di affiliazione mafiosa o camorristica, potrebbe obiettare e obietta la giornalista del servizio del “Corriere.it”. A questa osservazione occorrerà replicare con una semplicissima regola di vita: il valore delle nostre azioni va considerato anche in relazione al fine che vogliamo raggiungere; sarebbe un errore pretendere di giudicare un’azione sganciandola completamente dallo scopo per cui è compiuta. Un conto, infatti, è firmare un patto di sangue con il demonio, come avviene in alcuni rituali di messe nere, altro e scrivere la formula della propria professione, altro ancora è emettere un voto personale con il proprio sangue.
Sempre ammesso che sia tutto vero, la giornalista chiede: “A Manelli faceva piacere questa cosa?” Cosa avrebbe dovuto rispondere il Padre? Se una cosa è lecita, liberamente scelta e attuata per amore verso Dio, perché vietarlo?
Se dicessi al confessore di voler offrire la mia vita a Dio in cambio della guarigione di mio figlio, per esempio, perché dovrebbe scoraggiarmi? Il carabiniere Salvo D’Acquisto non ha offerto la propria vita per salvare quella di un innocente? È un gesto nobile, conforme alla logica della sequela del Cristo: “Non c’è amore più grande di chi dà la vita per i propri amici.”. E se poi per un qualunque motivo fallissi o cambiassi idea sulla bontà della mia offerta, potrei mai incolpare il confessore per non avermi scoraggiato? Sarebbe piuttosto infantile, perché ridicolo lo è già.

Il Comitato dell’Immacolata

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