Pubblichiamo una risposta dei familiari delle suore francescane dell’Immacolata all’ultomo articolo della Zarrella.
Alcuni mesi fa, un amico ebbe modo di telefonare a Loredana Zarrella in seguito ad uno dei suoi primi articoli pubblicati su “Il Mattino”. In esso la giornalista riportava una versione parziale dei fatti accaduti intorno all’Istituto dei Frati Francescani dell’Immacolata. L’amico le chiese se fosse disposta a pubblicare anche il punto di vista di quella parte che non approvava il comportamento di chi era contrario al Padre Fondatore, gli stessi che poi hanno avviato quella macchina che ha svolto un ruolo crescente di progressiva demolizione dell’Istituto religioso, con la chiusura di alcuni Conventi; provocando un calo vertiginoso di vocazioni (prima fiore all’occhiello della Chiesa cattolica); trasferendo i frati che erano un punto di riferimento per laici e religiosi e chiudendo lo STIM, il seminario interno. La Zarrella diede la sua disponibilità e si prestò, fingendosi interessata, a spendere la sua attenzione in merito, ma l’articolo fu pubblicato, incapsulato in una versione interpretativa che sosteneva comunque il punto di vista dei frati “dissidenti”. Sarà forse perché raccoglieva informazioni da uno di loro in particolare?
Il giornalismo di mestiere insegna che la stessa notizia, presentata in modi diversi, può assumere significati differenti. Il nostro amico rimase male per la scaltrezza e si rammaricò con se stesso per la sua eccessiva ingenuità. Decise tuttavia di non esternarle la sua delusione, nella convinzione che non sarebbe servito a nulla.
Così, articolo dopo articolo, la Zarrella ha macinato il suo lavoro di giornalista, fino all’ultimo pezzo, pubblicato questa volta su “Gente”. (Che finanche “Il Mattino” si sia stufato di questa storia?) Ciò che notiamo, forse lo costatano anche le direzioni più attente dei giornali e i lettori, è che la Zarrella ripete come un mantra le stesse notizie, correlate appena da qualche novità a conclusione zero. Chissà se lo fa per convincersi che le cose stanno proprio come dice lei!
Dopo i cibi avariati, la violenza psicologica sui religiosi, gli abusi, morti sospette e quant’altro è stato funzionale a gettare discredito sul Fondatore, adesso è l’ora delle sepolture deposte sotto l’altare e la morte del buon fra Matteo Lim, un fratino filippino caduto e morto in un pozzo, sulla cui vicenda i rilievi dei carabinieri dell’epoca e dei medici legali già accertarono trattavasi di incidente.
Sembrerebbe che la giornalista scriva per trasmettere al lettore delle novità riguardo alla storia, allora ci chiediamo: quali sono i nomi delle decine di testimoni di cui parla nell’articolo? È il solito crocchio di denuncianti, da cui non si esce salvo quando si vuole dare l’impressione di riferirsi a dei nuovi? E chi dice che Padre Stefano si sia proclamato depositario delle sacre stimmate di Padre Pio? Sono sempre i soliti accusatori del giro?
Ecco dunque, allora, l’esorbitante novità: la riapertura del caso. Alle accuse infondate in precedenza, se ne aggiungono delle nuove. Dubbi, per ora, ieri come oggi, nient’altro che dubbi, ma che servono alla Zarrella per avventarsi nuovamente sul suo computer e scrivere, meglio ripetere, il solito racconto dejà vu. Si tratta solo di una reazione per dimostrare di non essersi schierata dalla parte sbagliata? Non possiamo dire. Fatto sta che tutto ciò è funzionale a chi si accanisce nel colpire la persona del Fondatore, per imputargli tutti i crimini possibili; mentre una parte della Chiesa, quella che da sempre ha osteggiato il ritorno alle fonti, a una più autentica spiritualità francescana troppo scomoda per i tempi moderni, resta immobile a guardare.
Chi fa giornalismo prestando attenzione solo ad una delle parti in causa ha già espresso un giudizio prima della magistratura; fomenta processi mediatici, facendo solo male alla gente. Di certo non sembra fare giornalismo alla maniera di San Massimiliano Kolbe, ovvero non sembra considerare lo strumento cartaceo come un mezzo finalizzato a far chiarezza, piuttosto quanto un modo per esprimere la propria opinione personale. Possibile che la Zarrella non analizzi le montagne di menzogne finora dette o scritte, non diciamo per dubitare, ma almeno per assumere un atteggiamento di prudente attesa a fronte delle insinuazioni che di volta in volta escono dal “dossier” (sic!) o fanno capo alla ristretta cerchia delle accusatrici?
Facciamo un elenco delle falsità finora affermate a mezzo pubblico e che alcune volte tradiscono la mala fede dei dichiaranti.
Si fa credere che i laici che aderiscono alle Associazioni siano pericolosi truffatori che potrebbero distrarre (da chi?) il patrimonio che gestiscono e si ottiene momentaneamente il sequestro dei beni, subito dissequestrati, evidentemente perché le Istituzioni non ravvisano alcun pericolo di sorta.
Un’ex suora, affermando il falso, parla di patti di sangue con cui si esprimeva la fedeltà al Fondatore; in realtà mostra soltanto la formula della professione religiosa.
Alcuni genitori dichiarano in T.V. che i figli sono costretti a restare nell’Istituto religioso contro la propria volontà; a loro volta i figli hanno scritto e reso pubblico che la loro scelta è stata libera, mai nessuno li ha costretti a rimanere nell’Ordine contro la propria volontà, mai sono stati segregati forzatamente per essere allontanati dalle famiglie.
Un’ex suora ha raccontano di essere stata indotta dalla superiora alla prostituzione e ha cercato di coinvolgere un’altra suora in questa storia, tuttora in convento; l’ex suora è stata denunciata tanto dalla madre superiora accusata, quanto dalla suora che l’ex ha compromesso in questa finta avventura di corruzione morale.
Attraverso i media si vuole infangare la buona reputazione dell’Istituto quando si afferma che i benefattori siano morti in modo sospetto, ma la foga di infamare è tanta che non ci si accorge di includere tra i morti anche i benefattori ancora in vita.
Un’ex suora, sembra con qualche disturbo già mostrato al tempo in cui svolgeva la vita religiosa, va diffondendo di essere stata oggetto di attenzioni sessuali da parte del Fondatore e non si tiene in alcuna considerazione schiere di giovanissime suore che sono pronte a testimoniare il corretto comportamento di Padre Manelli, la sua modestia e riservatezza, caratteristica del suo stile di vita a prescinder dal sesso delle persone con cui si relaziona.
Decine di dichiarazioni pubblicate a mezzo internet non sono tenute in alcun conto, eppure si tratta di testimonianze non anonime, con nomi e cognomi di persone rintracciabili. Queste sono espressione solo di alcune persone che hanno ritenuto doveroso rilasciare per iscritto le loro esperienze di vita con Padre Stefano Manelli, le suore e i frati fedeli al Fondatore; ce n’è sono altri che reputano le imputazioni talmente inverosimili, indegne, false, malevoli e volgari, da ritiene di non meritare alcuna risposta.
Possibile che per la Zarrella, per il suo modo di intendere il giornalismo, tutto ciò non conti nulla? È possibile che per lei sia indifferente la disponibilità di una frotta di laici e religiosi/e pronta a smentire che Padre Stefano avesse “un controllo assoluto sui religiosi e vigilasse in modo morboso sui movimenti delle suore?”.
La sequenza espositiva dell’articolo della Zarrella è eloquente: “Che cosa centrano le accuse appena esposte e tratte dal pezzo appena pubblicato, con il controllo dei carabinieri sull’igiene della cripta, sulla scadenza dei cibi e sulla morte di fra Matteo?”
Ora, però, va di moda l’argomento della cripta, entro cui sono sepolti i corpi dei servi di Dio, i genitori di Padre Manelli, di alcune benefattrici, di frati e suore. Cosa ci dice di nuovo la Zarrella … che i carabinieri stanno indagando. I carabinieri hanno il dovere di indagare tutte le volte che si presenta una denuncia con precise accuse. Indagare non dovrebbe essere sinonimo di colpevolezza; essa dovrebbe esser certa solo al termine di tutti i gradi di un processo; non prima, sui giornali.
Dispiace che la Zarrella non impari dall’esperienza dei fatti finora accaduti e, pur non avendo niente di nuovo da dirci, mantiene desta l’attenzione scrivendo delle recenti indagini, con l’arte di raccontare le cose.
Forse sfugge anche alla Zarrella, ma l’accanimento con cui si cerca di affondare il Fondatore colpendolo personalmente o screditando le opere da lui prodotte, non fa altro che dimostrare la debolezza dell’accusa; si sta passando ai raggi x tutta la vita di Padre Stefano Manelli per vedere se gli si può contestare qualcosa. Forse qualche volta sarà pure capitato che per distrazione abbia attraversato la strada con il semaforo rosso, sarà utile inserire questa notizia nel dossier, fornirà il pretesto per provare l’incostituzionalità del suo comportamento e, dunque, il “disprezzo” del Padre nei confronti dello Stato e delle sue leggi. In tal modo oltre ad essere “contro” il Papa, come sostengono gli accusatori, sarà pure contro Mattarella. Chissà che non si possa denunciarlo per vilipendio al Presidente della Repubblica. Tutto si può con un po’ di fantasia e gli accusatori ne hanno da vendere.
Se le cose stanno così, come a noi pare, quest’atteggiamento ha un nome ben preciso: si chiama persecuzione.
Ma non finisce qui, perché la Zarrella, dopo aver dedicato tre intere pagine al suo articolo imbastito di accuse da cima a fondo, conclude, bontà sua, con tre righe pure per l’avvocato Tuccillo. Non si tratta naturalmente di un barlume di correttezza, in onore al principio della par condicio, quanto piuttosto del tentativo di screditare l’ipotesi del complotto, così come invece sostiene la difesa di Padre Stefano Manelli.
A noi, piuttosto, pare che la persecuzione, a volte anche a mezzo stampa, sposi molto bene con l’ipotesi del complotto!
I familiari delle suore francescane dell’Immacolata