2 Marzo Il dubbio su Maria

 

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San Giuseppe era già giuridicamente sposo di Maria e, in attesa dello scadere dell’anno previsto dalla Legge per introdurla definitivamente nella propria casa, quando si accorse della sua gravidanza assolutamente impensata si turbò. Per quali precisi motivi non è detto nel Vangelo.

Gli studiosi hanno cercato di individuarli e di giustificarli presentando diverse ipotesi aggirandosi su queste possibilità poste a base dei ragionamenti: o che san Giuseppe non avesse mai saputo l’origine miracolosa di quella gravidanza prima che l’Angelo gliela rivelasse o che san Giuseppe avesse saputo da qualcuno quella origine e avesse egualmente deciso di licenziare Maria in segreto perché se ne sentiva indegno.

 

Allo stato attuale degli studi nessuna spiegazione risolve tutti gli interrogativi emergenti dallo scarno racconto di san Matteo e nessuna conclusione è possibile trarre.

Resta comunque certo il fatto, che è ben eloquente nella sua crudezza, narrato dall’Evangelista: «Maria si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto» (Mt 1,18-19).

In questa vicenda san Giuseppe era dalla parte del diritto e aveva, teoricamente, la piena facoltà di procedere contro Maria che mostrava tutte le apparenze del torto, eppure egli non denunciò Maria come adultera –  la Legge di Mosè che non permetteva all’uomo di trattenere con sé la moglie infedele e assegnava ai giudici il potere di pronunciarsi in favore del divorzio e di fissare la pena da infliggere.

Dunque san Giuseppe non aveva nemmeno l’ombra del minimo sospetto sulla virtù di Maria.

Non avrebbe potuto essere chiamato “giusto” se avesse nascosto il reato della sua donna ritenuta colpevole, mentre l’ordinamento giuridico condannava come rei non solo gli adulteri, ma anche i corresponsabili che li coprivano e favorivano. Allo stesso tempo il giusto non denuncia senza avere una prova convincente della colpevolezza altrui. Non sono una prova regolamentare le apparenze.

«Più credeva san Giuseppe alla castità di Lei che al seno; più alla grazia nascosta in Lei che alla gravidanza manifestata dalla natura; con i suoi occhi vedeva la concezione, e con tutto ciò non ardiva sospettarla di peccato; gli sembrava che fosse più possibile una vergine che concepisce restando vergine, e non una Maria che potesse avere peccato» (san Gio- vanni Crisostomo).

Se avesse potuto pensar male della sposa, egli avrebbe patito più dolore, ma avrebbe trovato più possibilità di risolvere il caso. E invece non poté assolutamente pensarne male, perché la conosceva estranea al male nella misura più totale. Che fare? Non era possibile fingere che non fosse accaduto quello che era accaduto, non era ammissibile per proprio il nascituro che non era proprio.

Pensò allora di licenziare Maria in segreto, in modo da sottrarla a qualsiasi sospetto di colpa e restituirle tutta la libertà, e di rimanere in attesa degli eventi, soprattutto dell’intervento di Dio. Pensò giustamente, non potendosi agire in modo diverso quando di un avvenimento non si sa né la causa proporzionata né il pieno significato. Pensò in senso sufficientemente favorevole alla Sposa, dati i limiti della situazione, nonostante che così potesse provocare la società e il tribunale a prendere in esame lui.

Insomma c’è abbastanza per capire in san Giuseppe il dramma di uno sposo che si trova nella condizione di licenziare, senza nessuna colpa propria, la donna amata e innocente; nonostante cari progetti faticosamente maturati; dopo la pubblica cerimonia del rito nuziale; nell’incertezza di una futura sistemazione propria e della donna licenziata e pur sempre diletta e addirittura passibile di lapidazione, se fosse stata presa per adultera; con la preoccupazione di rispondere alle domande di parenti e amici sorpresi; sotto il timore di un mistero nemmeno lontanamente immaginato.

Un dramma troppo lungo, per quanto vicina potesse essere sentita una sua qualunque conclusione; troppo segreto, perché potesse essere pienamente confidato ai due testimoni dell’atto di licenziamento; troppo angosciante, perché potesse essere attenuato da quei segni di maternità che avrebbero riempito di gioia qualunque altro giovane sposo.

Il dramma dell’amore infranto! Non voler ripudiare l’amata sposa innocente, non poterla trattenere contro la legge umana e divina!

Ma Dio non abbandona il giusto. Gli disse in sogno tramite l’Angelo: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quello che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,20-21).

Era la spiegazione del mistero: Maria sarà madre per opera dello Spirito Santo; san Giuseppe sarà padre del Figlio di Lei per volere di Dio; il Figlio è l’atteso Salvatore del popolo; san Giuseppe e Maria restano sposi; il Figlio appartiene all’uno e all’altra per diritto; Dio non ha tolto Maria a san Giuseppe, ma gliel’ha conservata per un motivo superiore.

Sorgeva l’alba di un giorno nuovo. San Giuseppe capì e accettò. Non capì tutto, perché nemmeno Dio gli aveva detto tutto, ma accettò tutto, perché Dio glielo aveva chiesto. E difatti «destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù» (Mt 1,24).

Anche noi possiamo essere sottoposti alla prova di non aver più un bene, persona o cosa, da Dio datoci e poi da Dio richiestoci.

In tal caso non possiamo avanzare nessuna pretesa, né chiamare Dio ingiusto.

Nessuna pretesa, perché siamo creature, anzi peccatori, non abbiamo acquistato proprio nulla senza Dio, possediamo soltanto ciò che Egli ci ha dato per pura liberalità e ne siamo solo gli amministratori, destinati a rendere poi conto del nostro operato.

Non chiamare Dio ingiusto perché è verità di Fede che è Lui il Signore di tutto e di tutti, cioè il proprietario, il padrone, il sovrano con diritto illimitato di proprietà e con potere smisurato di governo: diritto e potere fondati sulla creazione e conservazione del mondo e sulla Redenzione degli uomini, Egli può dare o non dare, togliere o non togliere.

Dice: «Userò misericordia con chi vorrò e avrò pietà di chi vorrò averla» (Rm 9,15).

In tal caso, invece, dobbiamo accettare la Volontà di Dio e confidare in Lui più di prima. Accettare la Volontà di Dio dicendogli con la Sapienza: «E chi potrebbe domandarti: Che hai fatto? O chi potrebbe opporsi a una tua sentenza? Chi oserebbe accusarti per l’eliminazione di genti da te create? Chi si potrebbe costituire contro di te come difensore di uomini ingiusti?» (Sap 12,12); anzi ripetendo con Giobbe: «Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore» (Sap 1,21).

Confidare in Dio più di prima perché la libertà di Dio nel dare o nel riprendere non è arbitraria, ma sapiente. Diciamogli con la Bibbia: «Tu, padrone della forza, giudichi con mitezza, ci governi con molta indulgenza, perché il potere lo eserciti quando vuoi» (Sap 12,18). Accade, infatti, che Dio non toglie il bene dato – come non tolse Maria a san Giuseppe –, ma lo restituisce migliorato o lo sostituisce con un bene più grande. Avremmo allora più motivo di riconoscere che «ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’Alto e discende dal Padre della luce» (Gc 1,17).

 

Proposito: Ci sia caro nel corso del giorno soppor- tare, con lo spirito di san Giuseppe, le molestie cau- sateci dalle persone di famiglia e dire con lui a Dio: “Sia fatta la tua Volontà”.

 

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