San Giuseppe è padre di Gesù. Questa espressione è giusta, ma ha bisogno di una precisazione per non essere fraintesa. Occorre stabilire in quale senso il Santo è detto padre di Gesù.
Dire san Giuseppe padre vero o naturale o carnale di Gesù è sbagliatissimo, addirittura eretico, perché egli non ha cooperato in nessun modo alla produzione del corpo di Gesù, non gli ha dato nulla di se stesso; e quindi non potrà mai considerarlo come qualcosa uscito da lui stesso. Il corpo di Gesù e il corpo di san Giuseppe non hanno nulla in comune.
L’espressione “padre putativo”, la più comune e la più ripetuta, vuol dire che il Santo era reputato, cioè creduto, padre di Gesù, mentre non lo era affatto, ossia non lo era nel senso ordinario che i figli intendono quando parlano dei propri padri.
Se si intende escludere l’idea di concorso fisico da parte di san Giuseppe alla concezione di Gesù, l’espressione è accettabile; se invece si volesse insinuare che il Santo non aveva alcun diritto sul figlio natogli dalla legittima sposa, essa è inammissibile perché, eccetto l’importanza della generazione, san Giuseppe ha avuto tutti i diritti della paternità su Gesù.
Il dire “padre matrimoniale” comporta due elementi: che san Giuseppe è il legittimo sposo della Madonna e che egli abbia collaborato fisicamente alla nascita di Gesù.
Il primo è vero, il secondo no. Anzi chi lo credesse cadrebbe nell’errore e toglierebbe al Santo la gloria della verginità: anche alla Madonna, oltre che a lui.
Le parole “padre legale” vogliono dire che san Giuseppe è divenuto tale in uniformità alla legge della sua nazione e tale è riconosciuto dalla stessa legge.
Ma non è tutto qui il senso della paternità e tanto meno della paternità di san Giuseppe, e specialmente non è tutta qui la sua ampiezza. Anzi c’è pericolo di confondere questa qualifica con quella di “carnale” che è eretica.
Peggio ancora è dire “padre adottivo”. Si chiama padre adottivo l’uomo che prende in qualità di figlio e di erede il figlio di un estraneo.
Ma Gesù non era affatto un estraneo per san Giuseppe, perché era nato legittimamente dalla sua legittima sposa ed ebbe l’eredità paterna per diritto naturale.
È il caso di dire anche che gli antichi ebrei non conoscevano l’istituto dell’adozione.
L’espressione “padre verginale” accosta due termini che si escludono. Non esiste un padre che sia vergine, non esiste un vergine che sia padre. O la verginità o la paternità.
Eppure è proprio questo il caso di san Giuseppe: è vergine e padre, per privilegio concessogli da Dio. È vergine, perché non ha cooperato per nulla al concepimento di Gesù e perché non ha avuto mai rapporti coniugali con Maria. È padre, perché Gesù è illegittimo figlio della sua legittima sposa e perché egli ha assunto e adempiuto le funzioni propriamente paterne. Egli è veramente vergine come è veramente padre.
Come Maria è madre di Gesù pur essendo vergine, così san Giuseppe è padre di Gesù pur essendo vergine.
Quanto è vero che san Giuseppe è lo sposo verginale di Maria, altrettanto è vero che san Giuseppe è il padre verginale di Gesù.
Maria è castamente madre di Gesù, san Giuseppe è castamente padre di Gesù, «tanto più realmente, quanto più castamente» (sant’Agostino).
Lo Spirito Santo ha operato il duplice prodigio in tutti e due per dare Gesù a tutti e due. Rispetto alle altre espressioni prima riferite, questa di “padre verginale”, sebbene nemmeno essa esaustiva di fronte alla veramente singolare paternità di san Giuseppe, è certamente preferibile, perché non falsa, non restringe, non limita il concetto di padre applicato a san Giuseppe, ma ne salva l’essenziale, e vi aggiunge la nota della verginità, che è verissima e bellissima.
Questo bisogno di essere precisi nel definire la paternità di san Giuseppe, come la nozione di Dio e di ogni verità della Fede cristiana, ci ricorda quanto sia fondamentale, necessaria, vantaggiosa, urgente l’istruzione religiosa.
Fondamentale, perché essa è un diritto della persona che, per realizzarsi adeguatamente, non può ignorare la Fede, la quale è parte essenziale della storia e della cultura del popolo e fatto sociologico ricco di risvolti (estetici, letterari, folcloristici, ecc…).
Necessaria, per evitare deformazioni, puerilità, ignoranze; per difendersi dai troppi che portano a pensare e a vivere male; per aiutare se stessi e gli altri a pensare e a vivere bene; per capire il passato e il presente del mondo che ci circonda.
Vantaggiosa, perché soltanto possedendo l’istruzione religiosa è possibile gustare Dio, la sua Rivelazione e le sue meraviglie con quella soddisfazione che sazia i dotti e inebria i Santi, e non si trova in nessun’altra cultura.
Urgente, perché ne abbiamo ancora troppo poca, siamo sfidati dal tempo che corre veloce, assediati da numerosi centri di interesse troppo devianti, incalzati dal progresso degli studi che apre orizzonti nuovi e chiama a nuove sorprese.
Per farsi un’istruzione religiosa occorre leggere libri, ascoltare prediche, pregare per essere illuminati, consultare gli esperti, rifiutare le fonti d’informazione contrarie.
È una vergogna per il cristiano fermarsi ad appena qualche nozione di catechismo o notizia di giornale.
Proposito: Durante il giorno leggere almeno alcune pagine di un libro religioso, immaginando san Giuseppe vicino a sé e benedicente.