14 Marzo San Giuseppe ed Erode

 

Unknown-1Erode era padre, ma il più indegno della paternità, poiché «era inumano e crudele… Sospettava di tutto, odiava tutti, convinto che fosse più sicuro sospettare di tutti e dubitare degli stessi innocenti, specie se sospettava che qualche suo familiare aspirasse al regno, perché solo lui voleva essere onorato» (Giuseppe Flavio), non esitò a far uccidere, tra gli altri parenti, anche tre figli (Alessandro, Aristobulo e Antipatro), uno dei quali proprio nell’esecuzione dell’ordine da lui dato di uccidere tutti i bambini al di sotto dei due anni, con l’intento di includere tra essi il Bambino Gesù.

Augusto, che aveva imposto ad Erode di non uccidere l’erede al trono di Giudea senza il previo consenso dell’Imperatore di Roma e che aveva salvato da morte due figli di lui, dovette riconoscere che in casa di Erode è meglio nascere servo piuttosto che figlio. Teneva ben presente che un’ambasciata di giudei era andata a dirgli che la condizione dei morti era più invidiabile dei vivi perseguitati dal loro re.

Particolarmente mostruoso fu Erode nel perseguitare Gesù Bambino per viltà, ipocrisia, ferocia. Crede o non crede che quel Bambino sia il re mandato da Dio?

Se lo crede, come può immaginare di poter soffocare nella culla Colui che Dio ha mandato per essere Re degli uomini?

Se non lo crede, perché si macchia di un delitto inutile e affronta l’universale esecrazione della storia comandando un’uccisione di bambini tanto stupida quanto atroce? E difatti l’unico Bambino che gli sfuggì fu pro- prio quello che egli voleva morto, a tutti i costi.

Chi rese vana la sua crudeltà fu un suo suddito, un falegname, un poverello, il padre del Bambino, informato da Dio stesso. Infatti «un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”» (Mt 2,13).

Ben conoscendo chi fosse il persecutore e soprattutto obbedendo alla voce di Dio, san Giuseppe si alzò nel cuore della notte, prese il Bambino e sua Madre, lasciò Betlemme, si diresse verso l’Egitto ora da solo ora inseren- dosi in qualche carovana.

Resistette a difficoltà di diverso genere (paura di essere raggiunto dagli inseguitori; precauzione di cercare le vie meno selvagge e nello stesso tempo meno pericolose; attenzione ad evitare possibili predoni in agguato; preoccupazione di trovare vitto e alloggio specialmente durante la traversata del deserto; apprensione nell’entrare in un territorio straniero e pagano; assillo di far presto avendogli l’Angelo detto “fuggi” e non semplicemente “va’”, ecc…). Arrivò finalmente in Egitto mettendo in salvo Gesù dopo «un viaggio di ben 500 chilometri» (Alberti) compiuto in non pochi giorni (non meno di sei-sette).

Così agì san Giuseppe perché si sentiva padre di Gesù, anche se questi non era carne della sua carne, e perché era tra gli uomini il più degno della paternità. Non lo amò meno di quanto lo avrebbe amato se fosse stato proprio figlio naturale, anzi lo amò con più ardente fervore, perché ebbe dalla gra- zia tutti i sentimenti della paternità, cioè da quella fonte che, nell’amore, è più forte della natura.

Ed era certamente felice di penare nello sforzo di salvare il Bambino, come se acquistasse una nuova paternità nel ridargli la vita che egli aveva ricevuto da Dio e da Maria e che poteva perdere per colpa di un miserabile re.

Chi è padre riconosca di avere una grande dignità, alla quale è strettamente congiunta una grande responsabilità. Ha la dignità di generare, nutrire, sviluppare ed educare il figlio come prolungamento di se stesso nei giorni che verranno, arricchito della propria esperienza, aperto a nuovi progressi, destinato a protrarsi ancora nella discendenza carnale.

Se non onora questa dignità, anzi se la macchia con le parole e con i fatti, non è più padre se non di nome, è invece un deformatore, un corruttore, un piccolo Erode.

Non mediterà mai abbastanza che Dio stesso ha voluto chiamarsi Padre. È ben misero se ha l’affetto dei figli solo per il bisogno che questi hanno di lui. Se vuole rendere sacra l’autorità paterna, dev’essere virtuoso. È lui l’anima della famiglia.

Chi aspira a diventare padre, sappia di doversi preparare per tempo intellettualmente, affettivamente, socialmente e soprattutto religiosamente perché va incontro a un impegno che non ammette né pigrizie né ripensamenti né sostituzioni né ripiegamenti. O si è padre nel senso più completo della parola o si finisce con non esserlo più di fatto. Meglio non diventare padre, se non ci si sente più che decisi ad accettarne il peso.

Anche una volta diventato padre, è necessario studiare le diverse facce della paternità per tenersi preparato a risolvere, con la dovuta fermezza sugli irrinunciabili valori della vita, i problemi posti dall’evoluzione non sempre ordinata dei tempi e dal comportamento non tutto accettabile dei figli. Risuona più attuale nei nostri giorni l’affermazione del santo Curato d’Ars: «Molti figli si dannano a causa dei loro padri».

 

Proposito: Preghiamo fervorosamente san Giuseppe con l’invocazione delle Litanie: Assiduo Difensore di Cristo, prega per noi, perché illumini tutti, genitori e figli, sul giusto concetto di paternità.

 

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