Prove del noviziato
Il giorno dopo la sua vestizione fu mandato insieme con gli altri novizi laici a vangare nell’ orto e sebbene fosse piccolo di statura, e debole di complessione, tuttavia per quattro o cinque ore continue del mattino vangò instancabile con tanta robustezza e perizia, che superò i compagni. Similmente egli fece nei giorni seguenti, se occorreva zappare, se occorreva tagliare legna, se occorreva aiutare in cucina egli a tutto suppliva con fermezza, e giudizio, che i vecchi professi ne rimanevano attoniti.
Essendo stato provato per più mesi, e riconosciuto abilissimo nelle fatiche dell’orto, e della cucina, i superiori vollero ancora sperimentarlo nel travaglioso ufficio della questua; a questo fine lo assegnarono per compagno ad un cercatore, il quale questuava in diverse località come Bagnaia, Canepina, Soriano, ed in altre località secondo le necessità del Convento. Non vi era questua più laboriosa di questa, perché, si doveva viaggiare tra pioggia o neve o nelle ore più ardenti dell’estate con pesantissimi carichi. Tornava la sera in convento carico come un giumento e ciò che era ammirabile e che dopo tanto travaglio, si assoggettava spontaneamente a tutti gli atti comuni, non avendo mai voluto godere di quell’esenzioni che sogliono accordarsi a viandanti, e ai cercatori debilitati dalla stanchezza, eccetto quando gli venisse espressamente comandato dal guardiano, o dal maestro di noviziato, anzi quando era più sfinito dalla fatica, tanto più correva sollecito al mattutino e si infervorava nelle penitenze, flagellandosi più aspramente.
Vedendo il buon Crispino, che nonostante la sua gracilità sosteneva ogni fatica, e soddisfaceva alla volontà dei superiori, viveva tutto tranquillo, sperando di non aver più ostacoli alla sua professione. Il demonio però, che vegliava contro di lui, prese ad inquietarlo per altra via, servendosi della delicatezza sua coscienza per distoglierlo dal suo santo proposito. Gli pose in mente, che tutte le fatiche, tutte le penitenze, tutte finalmente le sollecitudini, che si prendeva erano non solamente vane, ma ancora viziose, perché non erano fatte per amor di Dio, ma al solo oggetto di non essere espulso dal noviziato; quindi gli insinuava che egli era un martire dell’umano rispetto, e ch’era un ipocrita ed un illuso, che ingannava i figli del Serafico Padre, e che in somma coi suoi strazi e travagli altro non faceva, che aprirsi la strada alla dannazione. Non si può credere in quanta angustia di spirito, in quanti rimorsi, e dubbi lo avvolsero questi pensieri. Perdette la naturale allegrezza, camminava astratto e come fuori di se stesso, non proferiva parola, era sempre immerso in una profonda tetra malinconia, ne sapeva far altro di giorno e di notte, che piangere, e sospirare. Se ne avvidero i frati della strana mutazione, e allora il direttore spirituale l’obbligò a svelargli la causa di tanta tristezza. Il buon fra Crispino gli aprì tutto il suo cuore, il savio maestro gli fece comprendere che tal pensiero era una dolosa suggestione del demonio, mentre sebbene egli lavorasse per non uscire dall’Ordine, tuttavia il proposito stesso di voler perseverare nell’ intrapreso cammino era diretto alla maggiore gloria di Dio; e con il precetto della santa ubbidienza gl’ingiunse di non far conto, anzi di disprezzare un simile pensiero, confondendo il demonio colle parole di S. Bernardo : o mala bestia io per te non ho cominciato, ne per te voglio finire di glorificare il mio Dio.
Fra Crispino ricuperò ben tosto la pace primiera; anzi la vittoria che riportò sul nemico, gli accrebbe vigore e coraggio per avanzare nella via della perfezione, tanto, che di venne ben presto lo specchio, e l’ammirazione di tutti.