San Crispino fu cosi diligente e inappuntabile negli incarichi a lui affidati che non si poteva trovare alcun difetto. Dotato della più sublime prudenza nel discernere il bene dal male, nello scegliere i mezzi necessari al suo fine e nel rimuovere tutti gli ostacoli, che seppe mantenere sempre una vita illibata e irreprensibile. La prima sua cura fu la perfetta osservanza dei voti che aveva emesso nella sua professione solenne nell’abbracciare l’istituto dei Frati Cappuccini.
Quanto alla povertà, egli procuro sempre di vivere spoglio non solo della proprietà delle cose ma per quanto poteva anche dell’uso. La sua tonaca era sempre vecchia, abbietta e lacera; la sua cella era aperta a tutti, ogni religioso poteva prendere le cose assegnate all’uso di San Crispino e ritenerle come ad uso proprio. Il suo mantello era usato giornalmente dal cuoco e dai chierici e cosi di ogni altra sua cosa. Per non violare la santa povertà faceva conto anche delle cose insignificanti, cosi ad esempio era attento a spegnere le lampade e il fuoco affinché non si consumasse più olio o legna della stretta necessità. Si asteneva da tutto quello che non necessario e anche nel mangiare e bere osservò una povertà rigorosa. Quello che più lo travagliava nel fare la questua era l’osservanza della povertà in relazione alle provvigioni del Convento. Avrebbe voluto da una parte provvedere ai bisogni dei religiosi con abbondanza, tanto più che non gli mancavano le donazioni, dall’altra parte era angustiato dall’osservanza del voto di povertà, temendo che le provviste oltrepassassero i limiti del puro far bisogno, e questa scelta tra le necessita e il superfluo gli dava non poco inquietudine. Faceva quindi le provviste secondo le misure prescritte dalle Costituzioni dell’Ordine, e anche più scarse del dovuto, acciocché si pendesse sempre verso la povertà. I religiosi erano attenti a non dire che il vino era buono o generoso, altrimenti San Crispino, inquietato dal timore di offendere la povertà, si alzava segretamente di notte e temperava quel vino con l’acqua, affinché i frati avessero una bevanda più consona con la povertà. Solo nelle festività principali del Signore e della Santissima Vergine ad imitazione del Serafico Padre San Francesco mitigava il suo rigore; e poiché le vivande in tali giorni erano più abbondanti egli provvedeva ad un vino migliore.
Quanto alla Castità, egli fu un custode gelosissimo, anzi era molto più attento quanto era esposto ai pericoli per ragioni del suo impiego, che lo obbligava a dover conversare anche con donne. Perciò dovendo parlare con esse ebbe l’accortezza di non rimanervi mai da solo ma sempre alla presenza del compagno o di altre persone. Se le benediceva con qualche Reliquia, usava la massima circospezione, segnandole solo sulla fronte. Se si imbatteva in qualche pittura e statua oscena, volgeva subito la faccia altrove e tanto si adoperava che le faceva rimuovere o correggere. Il suo portamento non poteva essere più modesto, andava con gli occhi bassi, misurato nel gesto, castigato nelle parole e con un contegno tanto grave e tanto umile di modo che gli brillava in volto la santità. Al comparire San Crispino tutti si componevano e nessuno osava sparlare o dire parole poche oneste alla sua presenza, sicuri di essere da lui ripresi e le donne che gli portavano delle donazioni si coprivano molte bene perché in caso contrario egli gli volgeva subito le spalle. Era cosi nota a tutti la sua purità angelica che i vescovi stessi e i loro vicari gli concedevano ampia e illimitata facoltà nel visitare le monache e parlare con esse in ogni tempo, benché egli non fosse vecchio e anche senza motivo di questuare. Similmente era ammesso in tutte le case particolari senza alcuna riserva, tanta era la stima della sua illibatezza.
Quanto all’ubbidienza, si era così spogliato della propria volontà, che ne sembrava privo, e finché visse nell’Ordine non ebbe mai altra volontà che quella dei superiori. In ogni ufficio che egli esercito in ogni sua mossa, in ogni sua azione nulla mai fece senza la speciale e quotidiana licenza del superiore, anzi nelle cose anche interne e nelle penitenze medesime egli volle oltre il consenso del confessore quello del Provinciale o del Guardiano, sembrandogli in caso diverso di faticare senza il merito della espressa obbedienza. E sebbene secondo la consuetudine dopo aver esercitati per lungo tempo uffici laboriosi come quello della questua gli sarebbe convenuto un impiego meno grave, ma sapendo San Crispino che i superiori desideravano tenerlo occupato nella questua, mai egli si curò di riposare e continuo per quarant’anni nell’impiego di questuante volendo essere fino alla morte un continuo sacrificio di obbedienza.