Domenica scorsa, in una video-intervista rilasciata al giornalista spagnolo, Jordi Évole, Papa Francesco ha affermato un concetto che sembra in linea con la sua pastorale ecologica: la pandemia da coronavirus, in buona sostanza, sarebbe una risposta della natura che si adatta all’inquinamento ambientale.
Questo pensiero del Papa non è una novità. Il suo pontificato, infatti, è costellato di attenzioni sui problemi ambientalisti, come dimostrano sia l’enciclica «Laudato si’», sia il recente Sinodo panamazzonico. Inoltre, nel novembre scorso, in piena armonia con la convinzione che la pandemia provocata dal Covid 19 sia una conseguenza del danno ambientale, dichiarò le sue intenzioni di aggiungere al Catechismo della Chiesa cattolica il peccato ecologico.
Il Papa ha esortato i cattolici a confessarsi per i peccati che riguardano il mancato rispetto dell’ambiente, dando esempi di esami di coscienza come l’evitare l’uso di plastica e carta, separare i rifiuti e spegnere le luci non necessarie.
Ciò che colpisce lo specifico delle risposte del Papa nell’intervista di Èvole è la prevalenza che dà al fattore umano piuttosto che a quello divino, quasi come se il ricorso al soprannaturale fosse un elemento accidentale dell’esistenza umana.
Se questo atteggiamento umanitario del Pontefice fosse anche il fondamento del suo pontificato, chiedere che tutte le Chiese restino aperte e i sacerdoti disponibili a svolgere il loro ministero, amministrando i sacramenti, potrebbe essere, ahimè, una questione considerata del tutto secondaria.
Preghiamo per il nostro pontefice.