Divulgatasi da per tutto la fama di questi, come di altri fatti portentosi, crebbe a tal segno il concetto di santità di San Crispino, che tutti ricorrevano a lui nelle loro necessità, né solamente quelli di bassa condizione, ma ancor più gli illustri personaggi, Cardinali, Prelati, Principi, e ogni ceto di Signori e lo stesso Papa Clemente XI. Il quale informato da suoi domestici della santità di San Crispino, volle un giorno portarsi al Convento, e parlargli. Il Servo di Dio per la sua grande umiltà si trovò sulle prime smarrito e confuso, che appena poteva proferir parola; ma animato dal santo Pontefice rispose poi con tanta modestia e piacevolezza, che il Papa ne rimase edificato, e soddisfatto in maniera che tutte le volte che andava dai cappuccini, voleva sempre parlare con San Crispino. Anzi una mattina, che andò ad udirvi la Santa Messa fece precedere un donativo di cera per la Chiesa, e aggiungervi due candele per San Crispino. Terminata la Messa, volle egli stesso colle sue mani consegnare al Servo di Dio le due candele, dicendogli, che le accendesse al suo altare e supplicasse la beatissima Vergine di assisterlo. Un altra volta, che il Santo Padre passò per la Riccia, gli furono fatti presentare dal Principe Ghigi Signore di quel feudo, due grandi bacini di tordi, che il Papa fece vuotare nella sua lettiga. Giunto, che fu al convento dei cappuccini di Albano, e vedendo quei Religiosi inginocchiati per ricevere la benedizione, fece fermare la lettiga, e con paterna amorevolezza disse loro: Noi oggi siamo stati a caccia, e vi abbiamo portati alcuni mazzi di tordi; venga qui Fra Crispino a pigliarli. Volle tutti consegnarli a lui, al quale disse: voi cuocerete bene questi tordi, e vi ordiniamo, che domani essendo domenica, nella quale non si digiuna voi mangerete quelli, che vi toccheranno come porzione vostra, e ve lo ordiniamo per ubbidienza. Prese San Crispino quei tordi, e ne ringraziò umilmente il sommo Pontefice; egli poi considerando la distinzione fattagli dal Papa, invece di rimanerne contento, si mostrò tutto turbato e pensieroso. Il motivo del suo turbamento nasceva dalla sua grande umiltà: egli che amava il dispregio e l’abbiezione, vedendosi così contraddistinto dal sommo Pontefice, e ricercato da tante altre persone temette, che ciò potesse essere un laccio del demonio per farlo cadere nella vana gloria, onde pensò al modo di sottrarsene, ed il Signore gliene aprì opportunamente la via. Era arrivato al convento di Albano per farvi gli esercizi spirituali il Padre Agostino dalla Tisana Generale dell’Ordine. Fra San Crispino colse questa occasione per mutare convento e gettandosi ai piedi del Padre Generale gli apri tutto il suo cuore, umilmente gli espose le occasioni continue di vanità che ogni giorno gli si presentavano con evidente pericolo dell’anima sua e la difficoltà di poter avanzare nella spirituale ascesi fra tante distrazioni ed inciampi, con singhiozzi e lacrime lo supplicava umilmente a levarlo da quel tumulto. Il Padre Generale per diversi motivi non era intenzionato a rimuoverlo; ma riflettendo, che i motivi addotti del Servo di Dio erano ben giusti e conformi allo spirito dell’Istituto, condiscese finalmente a consolarlo. Tornato dunque a Roma ne parlò di proposito col Padre Provinciale e con il Padre Casini non ancora Cardinale in quella epoca; il quale ben lungi dall’opporsi, rimase molto edificato dell’ umiltà e distaccamento di San Crispino e disse: Padre Generale per fuggire la vanità e la superbia S. llarione volle mutare deserto, e per lo stesso motivo adesso San Crispino vuol mutare convento. Egli fa secondo Dio, ed io me ne prendo un buon esempio. Fu pertanto nelle nuove disposizioni capitolari assegnato al Convento di Monterotondo. Avrebbe egli desiderato il ritiro più ermo, e solitario per attendere senza dissipamento allo spirito, ma facendo più conto della ubbidienza che della vittima si conformò volentieri al comando.