Con il presente scritto vi presentiamo una breve sintesi della vita di S. Crispino da Viterbo accompagnata da diversi episodi in ordine cronologico per essere letti a modo di diario spirituale. I testi sono tratti dalla vita scritta dal postulatore Fra Bonifacio da Nizza.
Laus Christe et Mariae
- Crispino da Viterbo (1668-1750)
religioso, O.F.M. Cap. (parte prima)
Fra Crispino nacque a Viterbo il 13 novembre 1668 dai coniugi Ubaldo Fioretti e Marzia Antoni. Fu battezzato il 15 dello stesso mese col nome di Pietro. Ubaldo uscirà presto dalla scena lasciando il figlio orfano ancora in tenera età e Marzia vedova per la seconda volta. A prendersi cura del bambino subentrerà lo zio paterno Francesco che gli consentirà di frequentare con profitto le scuole primarie presso i gesuiti, per poi accoglierlo come apprendista nella sua bottega di calzolaio.
La piissima genitrice, dal canto suo, riversa sul piccolo Pietro le più pure e profonde attenzioni materne. In una visita al santuario della Quercia, additando al bambino l’immagine della Vergine, gli dice: «Vedi, quella è la tua madre e la tua signora; in avvenire amala e onorala come tua madre e tua signora». Il futuro Religioso le erigerà ovunque un altarino e le offrirà sempre «i fiori più belli». Pietro Fioretti si sarebbe deciso a farsi cappuccino in occasione di una processione penitenziale che si svolgeva a Viterbo per impetrare la pioggia in tempo di grave siccità. In quella processione sfilavano esemplarmente anche i novizi scesi dal convento della Palanzana. Fu l’ultimo tocco della grazia per la sua definitiva risoluzione. Infatti il 22 luglio 1693, venticinquenne, farà ingresso proprio nel suddetto convento per compiervi l’anno di noviziato. Destinato di Comunità in vari conventi del Lazio (Tolfa, Roma, Albano, Monterotondo) ed in quello di Orvieto ove rimase per circa quarant’anni, vi eserciterà gli umili e gravosi uffici di infermiere, cuciniere, ortolano e questuante. La sua vita di religioso trascorrerà sul filo di 57 anni totalmente consacrati al servizio di Dio e dei fratelli. Ha dell’incredibile l’opera da lui svolta in campo assistenziale per riportare pace, giustizia e serenità nell’intimo delle coscienze. Crediamo di rendere omaggio ai carismi che lo Spirito elargisce se diciamo che fra Crispino si rese in modo singolare risonanza evangelica su tutti i fronti. Nessuno infatti sfugge alle sue attenzioni: artisti, commercianti, agenti di polizia (allora chiamati sbirri), carcerati, orfani, infermi, contadini, ragazze madri, anime consacrate. E questo non soltanto durante il quarantennio orvietano, quando l’apostolato della bisaccia incontro al pane colmava di occasioni prossime la sua giornata. Quantunque appartengano proprio a quel periodo completivo della sua vita le manifestazioni più avvincenti della sua sensibilità sociale.
Fra Crispino ha al suo attivo altri 18 anni di consacrazione religiosa trascorsi nel chiuso della cucina, nel recinto claustrale dell’orto e – gli ultimi due, con distacco – nell’infermeria alle prese con i propri acciacchi preludenti al tramonto. Come abbia potuto effondere tanta saggezza illuminante ed ispiratrice anche in questa fase di vita nascosta, non è facile comprenderlo. La discreta formazione culturale attinta nella giovinezza e la stessa giovialità congeniale, maturate poi in una comunicativa fiorita di poesia e di penetranti aforismi, non spiegano a sufficienza il fascino esercitato dall’umile cuciniere di Albano su personalità di altissimo rango. È vero che molti, specialmente prelati, confluivano comunque in quei luoghi ameni e ricreativi. Ma rimane il fatto che tutti, nobili e dotti, a cominciare dal papa Clemente XI, amavano conversare con lui e sollecitavano il suo consiglio. E né umanamente si possono intendere casi eclatanti di riconciliazione avvenuti allorché l’obbedienza consegnerà a fra Crispino la zappa di ortolano nel più solitario convento di Monterotondo. Da non dimenticare infine le centinaia di lettere, semplici ed essenziali, latrici su più vasto raggio della sua inesauribile carità. Un uomo dunque pieno di amore, che da autentico figlio del Serafico di Assisi edifica tutti, fraternizza con tutti e rende gloria a Dio con le note del Cantico delle Creature.
Ma forse rifletteremo su quel che più conta se dopo aver veduto fra Crispino tutto donato agli altri, lo ridoneremo per un momento a sé stesso. Egli ha inteso innanzitutto santificarsi, attuare in minorità di vita quella che noi oggi, con tanta inventiva nei metodi, chiamiamo formazione permanente.
Da giovane aveva frequentato le scuole classiche, ma in religione prende per maestro un Fratello meno fortunato di lui negli studi, vissuto circa un secolo e mezzo prima, dallo stile di vita tanto simile al suo, canonizzato dal Papa suo amico: è Felice da Cantalice. Fra Crispino studierà per tutta la vita le uniche sei ” lettere ” di cui era a conoscenza il primogenito dei Santi cappuccini: le piaghe di Cristo e la Madonna. La gioia, la cortesia e l’illuminata comunicabilità, diventate in lui proverbiali, suppongono un esercizio di penitenza e di immolazione incessanti. Crocifisso ai suoi voti, ha condiviso il sacrificio comunitario sino al canto dell’ecce quam bonum. E deve essere stato davvero grande il suo amore se non di rado accorreva in vari conventi per curare e confortare i confratelli infermi con grave rischio per la propria salute.