Un mese con san Giuseppe 11° giorno

UIl Signore disse a Mosè: «Consacrami ogni primogenito, il primo parto di ogni madre tra gli israeliti, di uomini o di animali: esso appartiene a me» (Es 13,1-2).

Con queste parole Dio riservava a sé, per il servizio liturgico presso l’altare nel Tempio di Gerusalemme, e per sempre, ogni maschio primogenito come prezzo della salvezza da Lui accordata ai primogeniti ebrei in Egitto.

Quando però Mosè riuscì a costituire una casta propria sacerdotale dalla tribù di Levi, ogni altro primogenito non membro di questa tribù era sì portato al Tempio per essere consacrato al Signore, ma veniva immediata-mente riscattato al prezzo di cinque sicli da devolvere al Tempio (cf. Nm 18,15-16).

Il primogenito godeva una stima particolare, cioè le preferenze del padre, aveva speciali responsabilità anche sopra gli altri fratelli e a lui spettava l’eredità del gruppo familiare. Se non era offerto in sacrificio alla divinità (cf. Gen 22; 2Re 16,3) veniva riscattato perché ritenuto il frutto di una forza creatrice di vita. Anche l’unigenito era chiamato primogenito. Dio stesso disse di Israele: «È il mio primogenito» (Es 4,22).

Ecco Giuseppe, con Maria, pronto ad adempiere questo precetto della Legge. Non aveva nessun obbligo, né per Legge né per usanza, di recarsi al Tempio, bastando versare i cinque sicli ad un sacerdote della regione e di portarvi il Bambino per presentarlo a Dio in occasione del riscatto. Ma egli, trovandosi a Betlemme con Maria, preferì fare l’uno e l’altro, non tanto per la vicinanza di Betlemme a Gerusalemme – distante appena 9 chilometri, circa due ore di cammino –, quanto soprattutto per la venerabilità propria della casa di Dio e, naturalmente, per ispirazione divina.

Infatti tutto il racconto evangelico tende a mettere in risalto soprattutto la venuta del Messia nel Tempio, a ricordo di ciò che aveva scritto il profeta Malachia: «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo Tempio il Signore, che voi cercate» (Ml 3,1).

Tanto meno san Giuseppe aveva obbligo di presentare al Tempio Gesù, che era sì primogenito, ma in senso assolutamente superiore agli altri primogeniti, essendo egli «immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura» (Col 1,15); e che era nato sì nel tempo, ma tutt’altro che peccatore e bisognoso di riscatto, essendo Figlio di Dio con lo stesso dominio di Dio Padre su persone e cose.

Ma san Giuseppe volle obbedire alla Legge. Eseguì nel Tempio – ma il Vangelo non lo dice – il rito comune a tutti: presentò, con Maria, il Bambino al sacerdote, rispose alle sue domande, accompagnò la preghiera che il sacerdote diceva sorreggendo Gesù sulle braccia, alzandolo restituì il Bambino e, perché non della tribù di Levi ma di Giuda, pagò il riscatto.

Certamente san Giuseppe fece, come Maria, in quell’occasione la sua preghiera personale, tenendo presenti le parole profetiche che Simeone aveva detto pochi minuti prima. Anch’egli offrì Gesù all’Eterno Padre, e con Lui e per Lui tutti gli omaggi dovuti a Dio, e chiese misericordia per sé e per tutti gli uomini. Una preghiera inferiore per santità solo a quella di Maria, ma anch’essa santa e gradita al Signore.

Presentazione di Gesù al Tempio vuol dire dunque offerta di Gesù Primogenito a Dio, in altri termini offerta di Dio a Dio. Ciò richiama alla mente la Santa Messa, nella quale Cristo Dio si offre a Dio Padre.

L’uomo che vediamo sull’altare muovere le labbra e aprire le braccia, inchinarsi ed erigersi dinanzi al Tabernacolo, toccare il Santissimo e distribuirlo, è appena un rappresentante, uno strumento, un mezzo: ma chi compie il Santo Sacrificio è Gesù Cristo, il Redentore, il Capo, Dio. Difatti solo Lui può dire sull’ostia: «Questo è il mio corpo»; e sul vino «Questo è il mio sangue»; solo Lui può sacrificarsi e morire misticamente sull’altare e applicare alle anime i meriti del Sacrificio che consumò sulla Croce.

La Messa, pertanto, supera enormemente in dignità e in efficacia tutto il cumulo, pur incalcolabile, di tutti gli eroismi di virtù praticati da tutti gli angeli e da tutti i Santi, anche se continuassero sino alla fine del mondo, perché questi sono nettamente sproporzionati alla maestà di Dio al quale sono diretti, mentre sull’altare Colui che adora, Gesù, è infinito in ogni genere di perfezione come Colui che viene adorato.

«Nemmeno Dio può far sì che esista al mondo un’azione più grande della Messa» (sant’Alfonso Maria de’ Liguori).

Per i defunti la Messa è il suffragio più efficace e nei vivi cancella i peccati veniali, toglie almeno una parte della pena temporanea rimasta da scontare dopo l’assoluzione sacramentale e a chi fosse in peccato mortale ottiene le disposizioni d’anima necessarie per essere perdonato.

La Messa della domenica, e delle altre cinque Solennità di precetto equiparate alla domenica, è gravemente obbligatoria, perché la domenica è il giorno della Risurrezione di Gesù, il giorno della nostra liberazione spiri- tuale, il giorno prescelto dalla Chiesa per le maggiori manifestazioni di culto. La Messa è per la domenica e la domenica è per la Messa.

Proposito: Ci sia caro partecipare alla Messa anche in qualche giorno feriale, immaginando san Giuseppe vicino a noi e modello nella preghiera.

Tutti i diritti sono riservati

Lascia un commento