Un mese con san Giuseppe 12° giorno

00074_racconti_e_testimonianzeIl Signore disse ancora a Mosè: «Riferisci agli israeliti: Quando una donna sarà rimasta incinta e darà alla luce un maschio, sarà immonda per sette giorni […]. Poi essa resterà ancora trentatré giorni a purificarsi dal suo sangue; non toccherà alcuna cosa santa e non entrerà nel santuario finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione. [Poi] porterà al sacerdote, all’ingresso della tenda del convegno, un agnello di un anno come olocausto, e un colombo o una tortora in sacrificio di espiazione. Il sacerdote li offrirà davanti al Signore e farà il rito espiatorio per lei: essa sarà purificata dal flusso del suo sangue. Se non ha mezzi per offrire un agnello, prenderà due tortore o due colombi: uno per l’olocausto e l’altro per il sacrificio espiatorio. Il sacerdote farà il rito espiatorio per lei ed essa sarà monda» (Lv 12).

Questa della purificazione della madre era una cerimonia conseguente ad una concezione composta di diversi motivi, quali l’aria di mistero più o meno proibito che circondava la vita sessuale dell’uomo, pratiche particolari di igiene e di medicina, paure di influssi diabolici sulla donna, che pertanto era come scomunicata provvisoriamente, tanto la nascita dell’essere umano appariva come collegata ad una maledizione inevitabile.

Maria, pur sapendosi esente dall’osservanza di questo precetto perché divenuta madre in modo del tutto diverso da quello comune alle altre donne, anzi immacolato e santo, accettò tuttavia per il pubblico buon esempio di sottostarvi.

Dopo aver compiuto i quaranta giorni di segregazione a Betlemme e, come comunemente si ritiene, dopo la presentazione di Gesù al Tempio di Gerusalemme, si inchinò davanti al sacerdote per chiedere la purificazione: presentò due tortore o due colombe per l’olocausto di ringraziamento e per il sacrificio di liberazione dall’impurità, fu aspersa del sangue delle vittime e dichiarata monda, a norma di Legge.

Fece durante la cerimonia anch’essa la sua preghiera personale, ravvivata certamente dalle gravi parole dettele poco prima dall’ispirato Simeone, e fu preghiera piena del sentimento della propria pochezza e della più grande riconoscenza al Signore. San Giuseppe, che era nel Tempio con lei, capì il grande esempio di umiltà dato dalla sua sposa e non poté che ammirarla, amarla e prenderla ancor di più come modello di comportamento per tutte le circostanze in cui era da esercitarsi la virtù dell’umiltà.

Poiché c’è veramente qualcosa di contagioso nel modo di pensare, parlare, comportarsi che si comunica dall’uno all’altro, soprattutto quando ci si frequenta e ci si confida; e poiché ogni compagnia che non eleva, finisce con l’abbassare, si può capire quanto, per correggersi e migliorarsi, giovi la compa- gnia di coloro che già sono migliori di noi.

Essa ci rende più attenti al dovere, più facili al bene, più capaci di sopportare il dolore e di godere la gioia, più contenti della vita, più aperti al prossimo, più protesi verso l’eternità.

«Chi va con i saggi diventa saggio. È come chi frequenta una profumeria: quand’anche non compri e non venda, i suoi abiti avranno buon odore» (Napoleone).

«Un giorno il ranuncolo in un mazzo di fiori si trovò riunito ad un garofano, e all’indomani il profumo di questo era passato su quello» (Berarger).

«Con il santo sarai santo, con l’innocente sarai innocente, con l’eletto sarai eletto» (Sal 44). «Anche il ritratto di un uomo eminente e buono, che adorni una stanza, è una specie di compagnia. Ci sentiamo più uniti personalmente a lui. Guardando quel suo aspetto ci sembra di conoscerlo meglio e di essere in grande intimità con lui. È un vincolo che ci avvicina a una natura più alta e migliore della nostra» (S. Smiles).

In verità, soltanto coloro che vanno più avanti possono condurre gli altri più avanti. Nella vita della società sono più stimati quelli che frequentano i migliori. Se li frequentano, certamente posseggono somiglianza con essi. La compagnia dei migliori si rivela addirittura necessaria nel costatare quello che suole accadere quando il buono si unisce al cattivo: il cattivo non diventa migliore, mentre il buono si guasta a contatto con il cattivo. Perciò non stancarsi mai di frequentare quelli che sono più buoni di noi: «Basta un istante per fare un eroe; ma occorre tutta una vita per fare un uomo buono» (P. Brulat).

La mèta dello sforzo è quella di arrivare anche noi ad essere migliori del nostro passato e anche migliori di altri per far bene a loro: regolando noi stessi regoliamo anche gli altri, e cercando di far avanzare noi stessi verso il meglio facciamo egualmente avanzare gli altri. Non si può essere buoni a metà.

Proposito: Durante la giornata avviciniamo qualcuno che sappiamo migliore di noi e osserviamolo con la deferente ed affettuosa attenzione con la quale san Giuseppe osservava Maria; al nostro Santo diciamo anche: Pudico Custode della Vergine, prega per noi.

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